martedì 30 ottobre 2012

Primo bilancio dell’annata agraria: ripercussioni anche sul settore delle carni



L’annata agraria che si va chiudendo sarà da ricordare soprattutto perché dà il segno dell’incidenza cha ha raggiunto la questione dei cambiamenti climatici sui risultati di produzione mondiali e sulla dinamica dei prezzi.
Nel nostro Paese la chiusura dei raccolti dei cereali a paglia è avvenuta all’insegna della normalità (un po’ altalenanti le rese in provincia di Ravenna, con risultati differenziati a seconda dei terreni e delle precessioni agronomiche adottate, decisamente scarse le rese in provincia di Ferrara), con buoni risultati quantitativi e qualitativi e con un considerevole recupero di prezzo, spinto dalle notizie di forti perdite di produzione nei granai dell'Europa dell’Est (Ucraina, Russia) e dalle previsioni sul crollo dei risultati di produzione dei cereali autunnali (mais, sorgo, soia) negli USA. A oggi, in piena campagna di raccolta del mais, i dati di produzione sono i peggiori delle ultime annate. Parliamo di perdite di rese dell’ordine del 60%, in linea con le notizie che vengono dall’area del Corn Belt negli USA. Le stesse valutazioni valgono per la soia e per il sorgo: i prezzi in forte rialzo non potranno compensare una decurtazioni delle rese così marcata. Oltretutto alle minori rese va aggiunto l’insorgere, a livello mondiale, di problemi di sanità che decurterà ulteriormente il valore della produzione e aumenterà significativamente i costi per i controlli e i rischi commerciali per gli stoccatori!
I danni da siccità sono stati pesanti anche per altre colture annuali, come il pomodoro da industria, che in vaste aree del Sud non ha potuto arrivare a raccolta.
Cali significativi di pezzatura dei frutti e conseguentemente di rese per ettaro, si sono riscontrati nelle pesche e nelle nettarine e si annunciano anche per le produzioni invernali di mele, pere e kiwi. I valori di vendita dei calibri di qualità si sono comunque dimostrati superiori allo scorso anno. Vista la lunga stagione siccitosa, però, la percentuale di tali calibri è risultata inferiore, nonostante l’ottimo lavoro attuato dai tecnici per la valorizzazione delle produzioni. Risultato: una PLV per ettaro sicuramente superiore rispetto al 2011, ma non pienamente corrispondente alle aspettative dell’impresa agricola.
Infine, nel comparto delle carni è facile prevedere l’effetto dell’impennata dei costi di alimentazione, stante la difficoltà, in fase di recessione economica, a recuperare sui prezzi finali di vendita al consumo. «L’incidenza del fattore clima sui risultati di produzione di beni alimentari di primaria necessità la dice lunga sulla forbice che si è generata tra gli orientamenti di politica agricola della UE e l’andamento dei mercati – spiega Gilberto Minguzzi, Amministratore Delegato Terremerse – Mentre la Ue si balocca, in sede di riforma della PAC, sul greening e sulla sottrazione di terreno fertile dalla coltivazione, il mondo sta drammaticamente chiamando in causa l’attualità del carattere strategico della produzione alimentare. Già nel 2008 la crisi alimentare aveva contribuito ad attivare la primavera araba e a rivoluzionare assetti delicatissimi sul piano geopolitico. Dieci anni fa la UE preparandosi ai negoziati WTO si è data una politica di auto contenimento, tagliando gli aiuti diretti alla produzione e facendo sparire intere filiere, come quella bieticolo-saccarifera e non solo quella».
Prosegue Minguzzi: «L’attuale struttura della PAC, pesante per i costi che sostiene per finanziare i pagamenti diretti all’ettaro e altrettanto pesante nell'articolazione burocratica, ha effetti meno che marginali sulla sostenibilità economica della produzione agroalimentare: insomma l’impegno di bilancio è inversamente proporzionale all’efficacia! Sarebbe ora che la Ue ripensasse i limiti della propria visione dello sviluppo agroalimentare possibile. Le potenzialità di sviluppo futuro dovranno arrestarsi in corrispondenza delle strozzature del mercato Europeo, che registra una domanda in contrazione, sia per effetto della riduzione del potere d’acquisto, sia per effetto dell’invecchiamento della popolazione e del mutare delle diete, anche in corrispondenza dei mutamenti della composizione etnica della stessa? Oppure sarà opportuno tararsi sull’espansione della domanda mondiale, accrescendo la capacità competitiva del sistema, in ragione di una nuova capacità di coniugare qualità, distintività, origine territoriale, con organizzazione, così da aggredire target commerciali differenziati e nuovi mercati, anche lontani».
Conclude l’AD di Terremerse: «La padronanza di singoli asset competitivi, vincenti sui mercati di prossimità, non ha alcuna possibilità di affermazione sul mercato globale, se non si giunge alla declinazione congiunta di qualità, organizzazione, dimensione d’impresa o di rete. Urge correggere la rotta, assumere una strategia proattiva in direzione della prevenzione di crisi alimentari globali, mettendo al servizio delle esigenze alimentari della popolazione mondiale, nonché della stabilizzazione dei redditi agricoli nella UE, la capacità produttiva europea e il know how delle nostre agricolture avanzate».